Ho la febbre in tutto il corpo.

25/01/2012 alle 9:49 am | Pubblicato su Uncategorized | 2 commenti
Domenica 19 agosto 1928
Mia amica. Ho la febbre in tutto il corpo. Il tuo contatto mi ha riempito di tutte le dolcezze. Mai come in questi lunghissimi giorni, ho tanto centellinato i sorsi della vita. Prima vivevo le ore tranquille di Tantalo ed ora, oggi, l’oggi eterno che ci ha uniti, vivo, senza saziarmi, tutti i sentiti armoniosi dell’amore tanto cari a Shelley ed alla George Sand. Ti dissi – in quell’amplesso espansivo – quanto tempo ti amavo, ma vorrei dirti anche quanto ti amerò, perché il pane della mente che sa materializzare tutte le idealità elette dell’esistenza umana, ci sarà la guida più esperì a ,pieno di tante abilità, risolutrice di tutti i problemi nostri, che – e te lo dico con tutta la sincerità di un amico, di un amante di un compagno il nostro unisono bene sarà bello e lungo, godente e pieno di tutti i sentimenti, grande e sconfinatamente eterno. Quando ti parlo di eternità – tutto ciò che il cuore ha voluto ed amato è eterno – voglio alludere all’eternità dell’amore. L’amore mai muore. L’amore che ha germogliato lontano dal vizio e dal pregiudizio, è puro e nella sua purezza non si può contaminare e l’incontaminato è dell’eternità. Vorrei potermi esprimere sempre nel tuo idioma (Fina gli scriveva sempre in Castigliano, n.d.r.) per cantarti ogni attimo del tempo la dolce canzone dell’anima mia, farti comprendere i palpiti che percuote fortemente il cuore, le delicate figurazioni del pensiero mio che di te invaghitesi non potrà mai dare il “finis” della sua elegia. Ma d’altra parte – io che credo che il mio amore è da te contraccambiato con tutta la possanza della tua gioventù ancora in bocciolo, l’ho letto tante volte sulle tue nere pupille – mi contento nel sapere che per comprendere queste linee debbono essere rilette più di una volta da te. Tu non avrai tempo di scrivermi. Tu devi ancora dedicarti allo studio. Baciami come io ti bacio. Rendimi duplicato il mio bene che ti voglio. Sappi che ti penso sempre, sempre, sempre. Sei l’angelo celestiale che mi accompagna in tutte le ore tristi e liete di questa mia vita refrattaria e ribelle. Con te, ora e sempre.
Tuo Severino
 
Severino è Severino di Giovanni, e la lettera è indirizzata ad America Josefina Scarfò detta “Fina”, italoargentina di origine calabrese (Buenos Aires 1913-26 agosto 2006). Siamo, appunto, nella Argentina degli anni ’20, tra anarchia, terrorismo, amore ed impegno politico. Qui, la figura romantica di Fina diventa un’icona negli ambienti anarchici. Sorella di Paulino ed Alejandro Scarfò, anarchici e compagni di lotta di Severino, si innamora a 15 anni di quest’ultimo, e ne condivide le sorti fino alla fucilazione, avvenuta il 1 febbraio 1931. La stessa sorte tocca il giorno seguente al fratello Paulino. Restata sola, in un mondo assolutamente nemico, continua a mantenere viva la memoria dei suoi cari, ed avuto notizia, negli anni settanta, che la polizia federale argentina è ancora in possesso delle lettere d’amore che Severino  le aveva scritto, intraprende una lunga lotta con la stessa, al fine di ottenerne la restituzione, che finalmente ottiene durante il governo di Carlos Menem.  Fina  intanto si è laureata in lingua e letteratura italiana, ha fatto l’editrice per decenni, prendendosi a 86 anni il diploma universitario di “traductora publica” dal francese continuando a frequentare, nonostante l’età, l’università di Buenos Aires. Tutto ciò per adempiere giorno per giorno al monito di Severino che prima di morire le ha raccomandato “Continua a studiare!”.
La storia d’amore è stata raccontata da Maria Luisa Magagnoli nel romanzo biografico “Un caffè molto dolce” [Bollati Boringhieri, 1996]. Il racconto ripercorre le tappe della storia d’amore e d’anarchia che nel tempo si è diffusa e propagata a macchia d’olio dall’America Latina in tutto il mondo. L’insegnante Di Giovanni è emigrato da Chieti in Argentina con la moglie Teresa e tre figli, approdando per caso nell’abitazione della famiglia Scarfò, d’origine calabrese – la madre Caterina Romano originaria di Tropea e il padre Pietro Scarfò di Portigliola – la quale offre ai Di Giovanni, in affitto, parte dei propri locali. Dalla convivenza tra le due famiglie nasce l’amore tra il giovane e la quindicenne Josefina America. Le lettere che Severino di tanto in tanto fa recapitare alla ragazza contengono parole sublimi di ardore e passione che però danno un tono sempre rispettoso alla relazione tra i due, in contraddizione con il modus operandi dell’anarchico che predilige, in nome della sua libertà, le scorribande terroristiche cittadine dispensando dinamite e pallottole in decine e decine di attentati sanguinari. Per potere stare assieme a Severino, e quindi lontano dai suoi, America sposa, d’accordo con l’amante, un certo Silvio Astolfi che dopo la morte di Di Giovanni abbandona, troncando i rapporti con la propria famiglia.
Come stanno le begonie?” è il primo punto di domanda che Severino rivolge ad America per rompere il ghiaccio di quella che sarà la loro relazione sentimentale. E’ la frase che col tempo è divenuta “cult” tra i giovani [e meno giovani] argentini per auspicarsi che l’inizio dell’approccio amoroso vada verso il buon esito sperato. Da tempo è adottata nello scambio degli auguri in occasione della Festa di San Valentino. [Per la cronaca, la risposta di Fina è stata “Sono triste!”].
Arrestato e condannato a morte, a Severino viene concesso di salutare Fina, anch’essa detenuta, prima dell’esecuzione. Lei lo abbraccia, lui la bacia. Le chiede di badare ai figli che egli ha avuto con Teresa, sua moglie. America gli risponde: “Il tuo ricordo mi rimarrà fino alla morte“. Lui la guarda con gli occhi pieni di lacrime e le dice:”Oh, Fina, tu sei così giovane!Devi continuare a studiare“. Si baciano di nuovo. Fina esce, continua a guardarlo, per questo inciampa in una grata e Severino le dice: “Stai attenta!“.
I principali giornalisti di Buenos Aires assistono alla fucilazione. La miglior cronaca è quella di Roberto Arlt che non aggiunge alcun commento da parte sua, si limita a descrivere quel “teatro irrazionale della forza bruta contro le idee. La scarica terminò con il più bello tra i presenti”, come conclude il suo articolo per  il Buenos Aires Herald.
Il giorno seguente cade anche Paulino Scarfò dinanzi al plotone di fucilazione. Sia Severino che Paulino, prima d’esser fucilati, sono stati barbaramente torturati dalla polizia di Uriburu. Ma essi non fanno  il nome di nessun compagno. L’ultimo incontro tra Fina ed il fratello è brevissimo. Lei non riesce a dissimulare il proprio dolore nel vedere il suo volto gonfio. Lui la trattiene: “Non piangere“. Poi, con molto affetto, aggiunge: “Povera ragazza“. Le bacia una guancia. Lei lo bacia con forza e gli chiede: “Non vuoi vedere la mamma?”.  Lui risponde: “No, non vedi come sto?“. Gli si vedono tutti i segni delle torture. Poi aggiunge: “Sto desiderando che tutto questo termini una volta per tutte“. La bacia. Fina lo riabbraccia, si guardano negli occhi, ma non piange. L’agente di custodia  sollecita [possiamo immaginare con quale garbo]  di farla finita. Fina se ne va, il passo deciso. Sia Severino che Paulino, di fronte all’ordine di far fuoco,  gridano con tutto l’ultimo fiato: “Viva l’anarchia!“. Accade nel penitenziario di Buenos Aires, e le scariche sono talmente intense ed accanite da essere udite fino nei giardini del quartiere Palermo.  Nell’arco di 48 ore alla adolescente Fina hanno strappato due suoi grandi affetti. Resta sola, in un mondo assolutamente nemico. Ma combattiva, decisa, pugnace.
Ed innamorata di vita e di amore.

Carissima, più che con la penna, il testamento ideale m’è scaturito oggi dal cuore, quando ho parlato con te: le mie cose, i miei ideali. Bacia mio figlio, le mie figlie. Sii felice. Addio, unica dolcezza della mia povera vita. Ti bacio molto. Pensami sempre.
Il tuo Severino“.

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